Lettera d'amore trent'anni dopo (uno spin-off)
- Gaia De Pascale
- 15 apr 2022
- Tempo di lettura: 4 min
Perché poi non è che fossimo dei santi, tutt'altro. Per lo meno non lo eravamo tutti, e di certo non lo era C.
C., camicia jeans con i bottoni dei polsi slacciati, maglietta rossa, giacca militare sdrucita, comprata usata in qualche mercatino.
C., che non si era portato nessuno strascico da paninaro in quell'incipit confuso di anni Novanta: del resto non aveva i soldi per quelle stronzate, e comunque non aveva la testa, con i suoi capelli spettinati, l'orecchino, un codice a barre tatuato sul braccio, le dita gialle di nicotina già a 15 anni. La stella rossa. Che Guevara. I CCCP. Era un animale strano per me, C., all'inizio. Io dal mio quartiere bene, lui da una zona un po' periferia un po' campagna. Io che ne venivo dalle suore, lui che già si imprimeva sulla pelle il suo rifiuto del sistema. Leggeva tantissimo, di quei lettori da libro stropicciato in tasca, e scriveva poesie dure e tristi, che marcavano sempre un confine, una differenza, tra chi era allineato a tutto quel caos postmoderno che ci stava precipitando addosso e chi non avrebbe mai potuto esserlo - 'i peggiori di voi saranno sempre migliori / dei migliori di noi' (questa la ricordo ancora).
C., dicevo, non era un santo, e aveva i suoi vizi - cose che potrete certo immaginare, ma che naturalmente allora non avremmo mai osato chiamare così, 'vizi' - però i suoi vizi se li consumava ascoltando i Doors, e uno può anche dire, giustamente, ma che differenza fa, e di certo non ne voglio fare una differenza di morale o di salute, ma di significato, e anche di significante (del resto scrivo, non faccio né il giudice né il prete). Perché anche fumarsi una canna in fondo si inscrive in un discorso che si fa sul mondo e su se stessi, e un conto è usare le parole di Strange days, descriversi nella testa giorni strani, ore strane, la solitudine di corpi confusi e memorie maltrattate, notti di pietra contro le quali sbattere, un conto è favoleggiare la propria assoluzione canticchiando ''criminale c'ho un frate criminale / vende quelle bustine con dentro medicinale'. Del resto C. quando ha sbagliato lo ha sempre fatto con gusto, come quella volta che ha sbagliato il tema perché ci ha messo dentro troppo Kafka - 15 anni. Troppo Kafka. Questo post si potrebbe anche chiudere qui. Invece va avanti, almeno fino al punto in cui quell'animale strano ha iniziato a entrarmi nel cuore. Deve essere stato quando, il giorno della grande manifestazione ai tempi della guerra del Golfo, lui è arrivato sotto la scuola prima di tutti. Era seduto sul muretto, ai piedi delle caravelle. Io mi sono avvicinata, lui si è alzato, mi ha puntato gli occhi addosso e ha fatto un segno con le dita che voleva dire 'pace' ma voleva anche dire 'io e te siamo uguali'. Non so se fosse vero, so però che siamo diventati grandi amici, e per 'colpa' sua sono passata dalle felpe della Best Company a Jim Morrison in croce appeso nel retro della mia giacca jeans, con grande gioia dei miei genitori.
Un giorno eravamo con altri amici in battello, credo a San Fruttuoso di Camogli. Ce ne stavamo rannicchiati in un angolo a prua, dentro un paesaggio così placido e luminoso da assomigliarci ben poco, e abbiamo iniziato a parlare di tutto, cose stupide, profonde, private, tenere, assurde. Quando siamo scesi, ci siamo persi gli altri. Nel ricordo le cose mi si confondono, e oggi davanti a un tribunale non potrei giurare che siamo partiti in gruppo, o che non abbiamo lasciato volontariamente il resto della compagnia. L'unica cosa certa è che siamo rimasti soli. A pranzo abbiamo svuotato le tasche, non più di tremila lire in due - segno questo che i nostri genitori non sapevano che fossimo lì, oppure che ci eravamo giocati il pranzo in sigarette, chi può dirlo. Fatto sta che siamo riusciti a comprare solo un toast. Stavamo per dividercelo ma è arrivato un gatto magrissimo, che ha cominciato a miagolare e a strusciarsi tra le nostre gambe. Così ci siamo guardati, abbiamo preso il toast, metà ce lo siamo divisi io e lui, metà lo abbiamo dato al gatto. Non ricordo che cosa sia successo dopo, come siamo tornati a casa, cosa ci siamo detti. Ma ricordo che in quel momento perfetto ho pensato che C. avrei potuto anche amarlo, anzi visto che comunque eravamo alternativi raffinati ho pensato 'oh te che avrei amato, oh te che lo sapevi', con i versi di Baudelaire, e so perfettamente che lui ha pensato la stessa cosa. Anzi, so di più: per circa un quarto d'ora ci siamo amati per sempre. Non è accaduto niente naturalmente, lui era fidanzato e il tradimento allora ci sembrava cosa volgarmente borghese. Siamo restati amici, grandi amici, come sempre, come adesso, anche se non ci sentiamo più. La vita ci ha portato lontano, per un po' ci siamo cercati, poi abbiamo smesso di farlo, io credo perché cercarci e correggere il destino sarebbe una forzatura, un artificio, e voi capite che questa non è roba per gente che ascoltava i Doors, saltava il pranzo per un gatto e credeva veramente che avrebbe potuto cambiare il mondo.
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