Quando mi fermo un attimo e cerco di ricordare pezzi del mio passato mi sgomenta sempre rendermi conto di quanto la memoria faccia cilecca. Cerco, frugo, annaspo tra i ricordi, mi dibatto per trovare qualcosa che so essere lì, da qualche parte, ma non so dove, e quel che è peggio non so cosa.
Ivan Guerrerio l'ho conosciuto nel 2011, e se scrivo con sicurezza questa data è semplicemente perché in questo momento ho il suo libro tra le mani. Sono certa di aver letto io, per Ponte alle Grazie, 'L'ultima notte di quiete', e se non riesco a mettere insieme gli eventi le sensazioni sono invece tutte qui, con me, come se il manoscritto fosse arrivato ieri, come se fossi ancora la ‘lettrice' che rimbalzava come la pallina di un flipper su e giù e qua e là lungo le direttrici del triangolo industriale con un trolley rosso carico di fogli A4. Quel libro mi aveva colpito, colpito duro. L'ho trovato subito di una bellezza straordinaria, 'sporca', viscerale, vera. 'L'ultima notte di quiete' ha il sapore delle mattine nelle periferie milanesi, quell’odore che ti penetra nelle narici appena approdi a Milano Centrale e si fa tanto più intenso quanto più ti allontani dal cuore della metropoli attraverso una qualunque delle sue arterie sotterranee. Sa di sobborghi, e precariato, e rivolta. Sa di giovinezza e gas di scarico, sa di Pink Floyd e manga porno, sa di nebbia, di fumo, di disperazione e di amore.
Mamma mia, quanta roba.
Ho saputo poi (non sono mai sul pezzo per queste cose) che Ivan aveva vinto il Calvino con 'Splendido splendente. Romanzo per Moana’, e di lui avevano parlato in tanti, da Cognetti prima che fosse il Cognetti dello Strega alla rivista Rolling Stone. Così, mentre dicevo a Ponte alle Grazie che quel libro secondo me andava fatto assolutamente (ed è stata la seconda volta che l'ho detto in tutta la mia vita, la prima a proposito di 'Terramatta di Sicilia' per Einaudi - e nella mia carriera da lettrice di manoscritti ne ho letti a centinaia), mi è venuto il pallino di presentare al Calvino prima, e al premio InEdito poi, il mio primo tentativo di romanzo, Betty Bì. Il romanzo è abortito, ma i premi erano andati bene. Al Calvino ero stata selezionata fino a un certo punto, InEdito lo avevo vinto, e il merito è stato di Ivan, che nel frattempo avevo conosciuto, che mi aveva spinto a non mollare, ad andare avanti. Domanda numero uno: come ci siamo conosciuti io e Ivan? Sicuramente a Milano, ma perché? (Mannaggia alla memoria, a Proust, a Bergson, al tempo che ci prende per i fondelli). Probabilmente, ma non ne sono certa, perché sono stata io a fare l'editing de 'L'ultima notte di quiete'. Fatto sta che ero a casa sua, ricordo che abbiamo bevuto del vino in spessi bicchieri di vetro da osteria, poi non eravamo più a casa ma in macchina, a Sesto San Giovanni credo, e lui aveva un nome per ogni palazzo, una storia per ogni strada. So per certo che abbiamo parlato di serial killer, era un suo nuovo progetto (non fare il serial killer, naturalmente, ma scriverne), poi è tutto un buco di memoria, ma se ho fatto l'editing a quel libro di certo non l'ho quasi toccato perché, e questo lo so oggi come lo sapevo allora, la scrittura di Ivan è intoccabile. Ha una personalità unica, una cifra stilistica che non si può raddrizzare o 'correggere'. È così e amen. È così e a me commuove e mi fa male e mi lascia senza fiato. Così arrivo al flash dopo, quello da demenza senile. Ci sono io in macchina, a Genova, sotto una galleria, dopo Piazza Dante. Lui mi dice, sempre a proposito di Betty Bì, che l'unico errore è che ogni tanto mollo la macchina da presa. ‘Devi stare sempre dietro la macchina da presa’, mi dice, ‘scrivi il film che hai in testa, non uscirne mai’. Domanda numero due, e tre, e quattro: Mi suggerisce queste cose di persona? Era a Genova? Ho presentato il suo libro? Non me lo ricordo, forse era lì, seduto lato passeggeri, o forse eravamo semplicemente al telefono, chissà che macchina avevo nel 2011, cioè era per forza la Peugeot prima che io le bruciassi la frizione, ma c’era già il viva voce nella mia autoradio? Bo?
Le parole accidenti. Le parole per me sono sempre contate più dei fatti o delle interpretazioni, e così ricordo sempre e solo quelle.
Penso che - di persona o meno - quella sia stata l'ultima volta che ho visto o sentito Ivan. Io ho continuato ad aspettare il suo libro sui serial killer, che però non è mai uscito. Non mi stupisce. Ivan non è il tipo da marchette, nemmeno il tipo che fa qualcosa solo per piacere agli altri. Non ce lo vedo proprio a lavorarsi il mondo editoriale per tenere i contatti, per stare sul pezzo delle cose che accadono nelle vetrine delle librerie Feltrinelli. È anche probabile (ma non lo so) che ‘L'ultima notte di quiete’ abbia venduto poco, non c'era più il traino del premio, i social non avevano ancora la potenza di oggi e comunque non credo che Ivan avrebbe passato giornate intere a vendersi su Tiktok. Ma i social sono anche stati l'unico filo che ci ha permesso di non perderci di vista. Un like qua, un commentino là, e sono passati 12 anni senza che nemmeno me ne accorgessi. Quando è uscito 'Non posso, mio figlio ha calcio', Ivan mi ha scritto per dirmi che lo aveva comprato, e poi che lo aveva letto, e infine che gli era piaciuto, e io mi sono sentita felice perché lui per me è uno Scrittore con la S più maiuscola che si può. Se sei Scrittore con la S maiuscola una volta, lo resti per sempre. Ci sono tanti venditori di bestseller della cui opinione non mi importerebbe un fico secco, che si godano il loro angoletto di celebrità, io che sono snob preferisco i complimenti di Ivan Guerrerio, che poi mi ha scritto di nuovo e così dal niente, e per niente, mi ha proposto di presentare il mio libro a Bologna (ma perché proprio lì?), e per niente si è offerto di ospitarmi a casa, e ha aggiunto solo, in un SMS, 'Ti faccio conoscere Bologna', proprio come 12 anni fa mi aveva fatto conoscere Milano.
Tra altri 12 anni avrò qualche flash di me, che ne so, in via Zamboni, e mi chiederò 'ma cosa ci facevo li?' e ricorderò tutto a buchi tranne l'odore di Bologna, le parole di un'anima affine, e quella voglia di resistere a questo tempo con la forza della parola, la forza della scrittura, oserei dire la forza del sogno.
'....e mentre andavamo verso di lei avevo capito benissimo che qualcosa non andava, e non era la crisi e non era la cassa integrazione, era la vita e lo sapevo da sempre, da molto prima che mi licenziassero e anche da prima che mi assumessero, lo sapevo già e basta.
Lo so anche adesso mentre viene sera, seduto in questo bar a Buonos Aires alla Boca non lontano da dove vivo, pochi minuti a piedi, in un’area ancora relativamente sicura ma non lontano dal grande ponte di ferro, dove comincia la città invisibile delle occupazioni abusive, dove non si deve andare la sera, dove dicono che le persone scompaiano e dove un giorno andrò disarmato a consegnarmi: ma non oggi'. (da 'L'ultima notte di quiete').
Non oggi, non il 29 aprile a Bologna, non un giorno qualunque a Milano 12 anni fa. Non finché ci saranno parole da leggere, e storie da scrivere.
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