
Uno spettro si aggira per la scuola, ed è lo spettro di un animale strano, forse una giraffa, o forse una professoressa ancora in potenza che aspetta di varcare il portone della scuola per diventare, per sempre, la “pressore’ ”. In realtà questa stravagante insegnante d’inglese “pressore’ “, per i suoi studenti, lo diventa fin dal primo giorno. Ma pressore’ pressore’, direi quasi pressore’ con la P maiuscola, è un titolo che va conquistato sul campo - e il campo, questa volta, è un istituto tecnico della periferia di Roma in cui l’umanità tutta sembra stringersi in un punto, e la Quinta A diventa sinossi perfetta dell’intera gamma di emozioni ed eventi che colpiscono gli adolescenti. Qualche volta come una carezza, più spesso come un pugno.
Dicevo: pressore’ la professoressa lo è diventata in tre minuti per i ragazzi, e forse se avesse esordito con un “Buongiorno” questo non sarebbe accaduto mai, ma lei ha esordito con “Avete rotto il cazzo”*, e allora non poteva che scoccare la scintilla (*Sorpresa! Si possono dire le parolacce e appassionare dei diciottenni a James Joyce). Lei probabilmente ha cominciato a sentirsi pressore’ nel momento in cui ha capito che il tempo, a scuola, scorre su binari altri rispetto a quello ordinario (è il tempo delle campanelle, degli intervalli, dei cambi d’ora, minuti che si restringono e si dilatano, fino a farsi eterni come i primi secondi in cui si entra in classe il primo giorno, e in quel buco di silenzio mentre tu, docente, scruti i ragazzi e loro scrutano te ti stai giocando il resto dell’anno e, quel che è peggio, lo sai). A me ci sono volute 226 pagine e ora se penso a Gaja, se leggo una recensione a Domani interrogo, la mia mente va in automatico: Oh, eccola lì, la pressore’. Quella che mi ha portato a conoscere Daniele, Bolivia, Flavio, Margherita, Alessandra, Sofia, Rabhil, Tarek, Francesco, Marco - eh sì, li nomino tutti, perché la pressore’ li ha amati tutti, uno per uno, e dunque non vedo perché dovrei ora io, qui, arrogarmi il diritto di fare dei tagli ai sentimenti altrui. Quella che ha deciso, fin da quel “avete rotto il cazzo”, di prenderla sul personale. Quella che si è arrabbiata, ha gioito, sofferto, pianto, fumato, camminato, sbagliato, salvato. Soprattutto salvato. Forse non sempre ci sarà riuscita, ma almeno ci ha provato, anche quando nessuno glielo ha chiesto, anche quando molti l’hanno invitata a un impossibile distacco. La pressore’ non sapeva tutto, e molto probabilmente non sa tutto neanche ora, del resto, con un colpo narrativamente riuscitissimo, non è lei a raccontare gli eventi, ma la scuola stessa, narratrice onnisciente che ci porta avanti e indietro nel tempo, con una serie di flashback e flashforward che una cosa sola vogliono dire: che da lì dentro, alla fine, nessuno vuole andarsene per sempre. A scuola si resta, come si resta in una storia d’amore, anche quando diventa impossibile, anche quando fa male.
E così sono rimasta, con la pessore’ e i ragazzi di Quinta A, tutto il tempo del libro, e anche oltre. Sono rimasta a rimuginare sulla scuola che vorrei, quella in cui tutti la prendono sul personale, costi quel che costi. E invece ancora non è così. Per quanto si declami, da parte di genitori e colleghi, l’importanza dell’empatia, della condivisione (non oso dire dell’amore, anche se lo penso), dell’inclusione, poi succede che c’è sempre qualcuno che ti punta il dito contro se non ti allinei al distacco, all’imperativo del voto, al giudizio. C’è sempre il collega “esperto”, fedele soldato del Ministero del merito, che ti spiega con ottomila slide il PON e il POF e il PTOF e il regolamento e le supercazzole della didattica performante, e ti guarda storto se ti becca in cortile a fumarti una Chesterfield Blu con Bolivia, o Tarek, o Alessandra, o Giovannino (“Chi sono i morti?”). C’è sempre un qualche superiore che rimarca che no, non bisogna dare confidenza a questi scappati di casa, siamo lì per valutare delle performance mica per salvare il mondo o giocare a Candy Candy, chi se ne importa se la scuola non è ancora (oggi, 2023) uguale per tutti, chi se ne frega se il destino di ciascuno degli alunni è già segnato dalle premesse sociali, economiche e famigliari che si porta nello zaino dalla prima elementare. E tu lì, a sentirti un animale strano, come quella “giraffa di merda”, al cento per cento bestia da circo.
Per fortuna che in questo spettacolo talvolta desolante che è il nostro sistema d’istruzione ci sono persone come la pressore’, che ha un solo, grande difetto: ha scritto il libro che avrei voluto scrivere io (ma lo ha scritto così bene che non mi lascia alcun margine di recriminazione!)
Uno spettro si aggira tra l’ala vecchia e l’ala nuova di un istituto superiore della periferia romana: è lo spettro di un altro modo di intendere la scuola, quello che appartiene ai vivi.
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